3. Frammenti di Lucania/Le pietre, la bellezza, il sacro, il petrolio. Il pellegrinaggio è il mondo

Giornata perfetta. Sabato. La lentezza del risveglio. Divani, letti, cuscini per terra. C’è spazio in questa casa dai pavimenti di legno. Quanti siamo? La notte se ne è andata. Marmellate in piccoli vasetti, pane tostato. Una delizia. Tazio e Francesca vorrebbero venire con noi. Ma stamattina arrivano ospiti, rimangono. Anche Pietro e Cicirinella restano in valle. Non passo a salutarli, li immagino nascondere la loro felicità nell’indifferenza, me ne vorranno. Ma, lassù, al santuario, non sapremmo come accudirli. Troppa gente. L’asino e l’asina, qui, se la godranno. Raffaele è immalinconito dalla separazione. Le gambe hanno addosso ancora la fatica, ma si muovono. Hanno voglia di camminare. E’ il giorno della salita. Mille metri di dislivello. Meno, probabilmente. Pendici del Vulturino, la montagna più alta, il monte Avvoltoio. Oltre i 1800 metri. Prateria di alta quota, rocce, vento leggero, spifferi di autunno, piccoli brividi sulla pelle.

Si sale per un querceto. E’ il bosco che dà il nome alla casa di Francesca e Tazio. C’è l’armatura di una tenda sudatoria. Noi già sudiamo. E c’è il percorso di un oleodotto sotterraneo, reti sbilenche a proteggerlo. Una ferita camuffata, alberelli che provano a riscrescere. Il petrolio affiora ovunque in questa bellezza. Apro la pagina del comune di Viggiano: città di Maria, città dell’arpa e della musica. In mezzo, città del petrolio. Tre città per poco più di tremila abitanti.


La sorgente Capone. Nessun cartello. Questa volta beviamo.
Fuori dal bosco, attraversiamo la strada che da Marsico sale al Sacro Monte di Viggiano. Passa un pullman di pellegrini. Scavalchiamo guard-rail. Si sale sempre. Un altro querceto. Grandi rocce. Un bel posto. Tazio vuole raggiungerci. Aspettiamo. Ivan ridiscende a incontrarlo. Cerchiamo il sole ai confini dell’ombra. E’ già tempo di mangiare. Salsicce sbriciolate, formaggi. Essere qui. Raffaele ci sorprende con il tonno Riomare. Riserve strategiche. Non ha il tempo di aprire anche gli sgombri con le olive. Pellegrini tolleranti, ho già spiegato. E poi la salita è appena cominciata. Sentiero segnato. Sentiero del Ventennale, ma io non so perché si chiama così e non mi viene in mente di chiederlo. Conservo il fiato nel silenzio. Vedo la schiena dei miei compagni in alto. Marianna ha una gamba malandata, ma va avanti. Come un’eroina ferita, cammina ruotando l’anca. Ci facciamo compagnia alle spalle dei nostri amici.


Tracce di orti di montagna. Era conosciuto come l’Orto di Pecoriello. Un tempo qui si coltivavano fagioli e patate. Non trovo più le parole. Il cielo è il solo confine delle montagne. Altopiano della Laura. Da qualche parte leggo che si tratta di Laura Caracciolo, ma il web è silenzioso su questa donna, non ne so niente. Mi accorgo di non aver chiesto. Mi piace che questa prateria da meraviglia sia dedicata a Laura. Mille e cinquecento metri. Sì, valeva la pena arrivare fino a qui. Fra le pietre del Vulturino e lo sperone roccioso del Sacro Monte. Sotto un pianoro circolare, un lago di pascolo. Verdissimo. Il cerchio di un inghiottitoio. Le acque spariscono in grotte sotterranee. Un uomo, là in basso, cammina velocemente. Ci sono vacche e cavalli. E altri cavalli sul nostro sentiero. Marianna si ferma a guardarli. Si incanta. La traccia di un sentiero appena segnato. I passi disegnano tornanti. La tentazione di una via diritta non ha successo. Ci muoviamo come un serpente. La salita è aspra. Paesaggio di pietra. Verde, azzurro, nuvole bianche. In basso le isole di cemento del petrolio. Oggi la bellezza è così scintillante che dimentichiamo. Eppure la gente della Val d’Agri riconosce la geografia dei pozzi, sono qua sotto. Sotto i nostri piedi che camminano verso il cielo.





Saliamo, gruppo che si sgrana. Una vacca corre quasi al galoppo. Ivan è a un passo dalla vetta. Io cerco il cammino più battuto. Giri larghi, per evitare strappi troppo ripidi. Un metro, un altro metro. Senza un solo pensiero. C’è una campana che rintocca: da dove arriva il suo suono? Segnale della Madonna? Ecco, il crinale. Non so se è la vetta. E’ il punto di passaggio, mille e settecento metri. Non potevo immaginare. Questa prateria di alta quota è un sipario: si apre su santuario, svela il santuario. È piccolo, poggiato su una cresta, fra un precipizio e un pendio. E’ là, oltre una piccola valle, cento passi, una discesa e ancora una breve salita. Pietra, campanile, campane, uomini, donne, una centa, costruzione votiva delle donne da marito (un tempo era così: oggi molti uomini portano le cinte), viene portata attorno alla chiesa. Un piccolo corteo dietro alla donna che la tiene in testa. E’ questo il sacro? Siamo ai confini di un dirupo: laggiù adesso vedo il Centro Olio di Viggiano, là arriva il petrolio dei pozzi della Val d’Agri. C’è l’invaso di Pertusillo. A poche centinaia di metri di distanza. L’acqua di Pertusillo disseta mezza Lucania e buona parte della Puglia. La Madonna Nera e il petrolio. L’acqua e il petrolio. Entro fra le pietre del santuario. Mi appare come una ruvida chiesa balcanica. Senza trucchi. Senza scultori, senza barocchismi. Una geometria squadrata. Le campane sono state benedette da due Papi.

Siamo arrivati. Sono le quattro del pomeriggio. Strana sensazione. Non ho più le parole. Mi appoggio a una pietra. Non so cosa annotare. Non ha importanza.
I compagni di viaggio tra i pellegrini. Cercano riposo al sole. Tre giri attorno al santuario. Come attorno alle pietre sciamaniche. Si gira attorno ai santuari dell’Islam. Le religioni sono un cerchio, un camminare, un andare. I segni e i simboli. Le mani rivolte verso il cielo. Le religioni si ‘assomigliano’. Dicono che dovremmo baciare i quattro angoli della chiesa. Altri uomini e donne sono arrivati a piedi. Riconosco la gente di Accettura. Andrea è scalzo, in ginocchio. In capo la centa. Eppure non è ragazza da marito. Cambia la storia, cambiano le tradizioni: un ragazzo poco più che ventenne e una donna anziana anche lei scalza tengono in equilibrio sulla testa il peso delle cente. La donna, a volte, porge la mano ad Andrea. Il piccolo gruppo di pellegrini avanza verso il santuario. Stendardo in testa. Tre giri anche per loro. Domenico soffia nella zampogna. Organetto. Tutti molto seri. Strette di mano. Entrano in chiesa cantando. Lacrime agli occhi. Piange anche un giovane prete. Piange Andrea che appare spossato. Toccano il vetro che protegge la Madonna Nera, il legno dorato, sguardo con sguardo.



E’ bellissima, la Madonna Nera. Occhi chiari. Simone ricorda che Carlo Levi scrisse che era ‘senza sguardo’, ma ne avvertiva la potenza (più che la carità), ne vedeva la forza nelle vesti d’oro, nei suoi miracoli. E anche nella sua indifferenza. Simone, a ragione, non è d’accordo: la Madonna Nera guarda. E sorride. Ha un segno per ognuno di noi. Tiene il Bambino sulle ginocchia. La statua, mi raccontano, ha mille anni di vita. Forse mille e cinquecento. Scomparve dall’antica Grumentum, città della valle, quando venne assalita dai corsari saraceni. Venne ritrovata dai pastori. Bagliori e luci guidarono gli uomini della montagna fino alla buca dove la statua aveva trovato rifugio. Poi vi sono storie di furti, di ricomparse, di portatori, di paesi. La Madonna Nera sale il Sacro Monte a primavera inoltrata, quando l’inverno illude fingendo la sua fine. Poi ai primi venti dell’autunno torna a paese. Non so altro. Guardo Andrea che non vuole staccarsi dalla statua. Lo ritrovo stanchissimo fuori dalla chiesa. Ci tocchiamo.

Ritrovo la pagina di Carlo Levi. Eccola: ‘La Madonna nera non è, per i contadini, né buona né cattiva; è molto di più. Essa secca i raccolti e lascia morire, ma anche nutre e protegge; e bisogna adorarla. In tutte le case, a capo del letto, attaccata al muro con quattro chiodi, la Madonna di Viggiano assiste, con i grandi occhi senza sguardo nel viso nero, a tutti gli atti della vita’.
‘A tutti gli atti della vita’…
Non ritrovo un pensiero di Marino Niola che credo di ricordare. Geniale e sorprendente, eretico e profeta, Marino spiegava che Dio è troppo astratto per il Sud. Qui si ha bisogno della Madonna, dei Santi. Ci vogliono i corpi. Dio non si può toccare. Maria, invece, è ‘fertilità, famiglia, ordine’. Aiuta, ha pietà. Guarda. E’ potente, direbbe Ivan. Sui monti di questo Appennino, dal Cilento al Pollino, le Madonne vanno e vengono dalle montagne. A settembre è come un richiamo, un segnale: ridiscendono dalle vette al primo vento dell’autunno per passare gli inverni nelle chiese, accanto alla loro gente.
L’offerta per la messa è 15 euro, avverte un cartello. Per qualche euro in meno possiamo abbonarci a una rivista del santuario.
Un grande manifesto raffigura un vecchio Papa Ratzinger mentre, canuto e curvo nei suoi anni, benedice la campana del santuario. Papa Francesco, invece, è sorridente, felice, sembra che abbia voglia di giocare con la campana portata in Vaticano.



Su uno sperone di roccia c’è San Michele, c’è un crocifisso nero. Vengono appesi rosari, lasciati pelouche, monetine. Messi sassi, uno sull’altro. Stesso gesto degli ebrei. Gli uomini e le donne arrivano, spingono carrozzine, vengono i vecchi con il bastone. La fede è fisica. Bisogna toccare, baciare la mano che ha sfiorato la prova della divinità. Io posso solo guardare. Ci sono decine e decine di ragazzi. La Lucania è terra di ragazzi. Sono una moltitudine. Questo pellegrinaggio è una sorpresa. E’ un andirivieni. Salgono dai piani di Bonocore. Tre chilometri e mezzo in salita. Ripidissimi. Lungo un cammino che è la Muraglia Cinese della Lucania. Girotondo di tornanti. Salgono senza posa. Per ore e ore. I piedi riscoprono capacità che non sapevano di avere. I lucani non vanno mai a piedi, prendono la macchina per fare cento metri, ma qui camminano, il più duro dei cammini. Salgono, fanno i tre giri, pregano, cantano, toccano la statua. Ridiscendono. C’è la festa al paese. Molti risaliranno nella notte. E là sotto c’è il petrolio. La gente parla del petrolio. Il sacro popolare e il petrolio. Il Centro Olio dissequestrato dai giudici è proprio sotto di noi. Un cerchio di metallo. A notte è simile a un’astronave. Quanti di questi pellegrini lavorano nell’indotto dell’Eni? Il Sacro Monte è accerchiato dal petrolio. Un assedio. Cosa chiedere alla Madonna Nera? Salgono le cente. Arriva Salvatore e mi scuote dal mio dormiveglia. Ecco Pasquale e Scarp’legg. Quanti amici in questa terra? Ecco, Giovanni a’ Madonna e la sua zampogna di San Severino. Ricordo quando mi offrì formaggio sulla punta del coltello nella radura della montagna di Alessandria del Carretto.


Strategie di sopravvivenza. Trovare un luogo dove dormire. Arriva anche Francesca, non ha resistito, vuole passare la notte quassù. Porterà le stuoie che non abbiamo. Camminiamo ancora. Siamo matti. Scendiamo fino a Bonocore. Perché là c’è la birra e un panino con la salsiccia. Là c’è il mercato, la porchetta, le bancarelle, gli ambulanti arabi, la plastica cinese, la chincaglieria, i pelouche, le automobili, le pile, i pettini, le trombette, i tagliaunghie. Insomma, facciamo altri sette chilometri ripidi come uno scivolo per mangiarci un pessimo panino su un tavolo unto.
Al mattino dopo leggerò anche di una rissa ubriaca nella piazza di Viggiano.


Ma valeva la pena scendere fra i pellegrini, sfiorarsi con coloro che salgono. Mischiarsi. Fare la fila davanti al camion-porchetta. Che fa affari d’oro, un panino dopo l’altro, una birra dopo l’altra. Catena di montaggio del fast-food, oli fritti e spruzzi di salse. Ammutolirsi di fronte agli undici euro per una vaschetta di patate fritte, una birra e un panino. ‘Quanto un pranzo a Villa d’Agri’. Dovrei riassumere: la bellezza, il petrolio, il sacro, la spiritualità, la forza del mercato delle patatine fritte. E’ così? Una donna rumena lavora (e lavorerà tutta la notte) come un’ossessa a riempire i panini di maionese e ketchup. Quanti soldi ne ricaverà? I ragazzi si muovono a scatti come un robot di Chaplin. ‘Vieni qua, vieni qua’, agita le mani ad elica un ragazzo dietro al bancone e dirige il traffico del popolo dei panini. Si muove con rapidità folgorante. Alle dieci di sera come alle sette del mattino. A un metro di distanza una ragazza e un ragazzo stanno ‘montando’ una grande centa, costruita dai ‘Devoti di Villa d’Agri’. Per essere sicuri aggiungono: Pz. I luoghi dei pellegrinaggi sono fotografia del mondo. La sua sintesi. Odore di fritto e candele che fanno un castello di cera, costruiscono una ‘macchina votiva’, scrivono gli antropologi. Scatoloni di birra Peroni. Un cancello separa il cammino verso il santuario dai mercanti. Il sacro dalla salsiccia.



Risaliamo. Deve davvero essere fatica spingere carrozzine fino al santuario. Ci sono bambini infagottati, uno di loro ha una gamba ingessata e sale con sforzo. Le donne più vecchie salgono con il volto che si arrossa e il fiato che non c’è. La chiesa è illuminata. Un color giallo-notte. Canti. Litanie. Cielo cobalto. Sono arrivati altri pellegrini. Da Satriano. Conosco Rocco. Sapevo che doveva arrivare. Per loro è storia di ogni anno. Hanno formaggi e salsicce. Lo zampognaro mi saluta e io non ne ricordo il nome. Mi offre un bicchiere di vino. Satriano è il paese degli alberi che camminano. Questo accade in pieno inverno.


Dobbiamo dormire. Tutti sanno che alle due quelli di Viggiano verranno a svegliarci a calci e tarantella. Ci affolliamo nella foresteria. Che offre un pavimento gelido e aria da claustrofobia. Meglio dormire fuori. Gli esperti danni consigli: dormite accosti al muro, qui fra quattro ore ballano e vi calpesteranno. Non diamo retta. Raffaele si rifugia sotto una coperta, cerca di proteggersi dal freddo. Stelle sulla Val d’Agri. Non so come accade che dormiamo. Quando non so come finire un articolo, copio: ‘Che ci faccio qui?’ è frase sempre efficace. Rimbaud se lo chiese negli altopiani di Harar, laggiù nella mia Etiopia. Chatwin ne fece titolo del suo vagabondare. E se, per una volta, per questa notte, non me lo chiedessi? Meglio: se sapessi cosa ci faccio qui?
3. (continua, c’è l’alba)
ecco, ti ho letto volentieri, tutto d’un sorso, una bella storia, Paolo
Tutto d’un sorso…