On the road/Massafra, il giro della tempesta

Mai scrivere a giorni di distanza. Mi porto sulle spalle (sulla testa, il cuore sta ai margini, batte per conto su) la storia del cronista. Scrivere solo con un campanello che sta per suonare. In più: smarrisco i taccuini, li lascio sui tavoli nella piazza delle barche di carta, al loro interno si accendono candele. Mi ricordano la mia città, in riva al fiume. Là le chiamiamo rificolone e noi vi sparavamo contro i pirulini. Forse la ragazza che teme il ritorno all’università come la fatica dell’estate ai tavoli della focacceria, ha trovato il taccuino. Forse no.
Ecco, forse scrivo per non rispettare le regole che hanno segnato i miliardi di parole scritte in troppi anni. Se avessi preso un altro bivio, se solo non avessi mai scritto, potrei cominciare…


Andiamo a Massafra per un ventaglio di carta che racconta dei ‘corti’. Vicoli corti. l racconti con le immagini che scorrono. Come mi piacerebbe azzardarne uno. Che pulsante bisogna premere?
Ricordo la sorpresa. I gin tonic nel bianco della calce di Massafra. Salvia o rosmarino? Limone? Il bicchiere come un orto. Il rosmarino come fiore sul tavolo. Come vorrei essere nato qui. Cosa avrei fatto? Me ne sarei andato o sarei rimasto? ‘Sono dura con chi se ne va’. Sarei rimasto, ma, temo, per mancanza di coraggio.


La gravina separa i due paesi, accade sempre. Il paese vecchio con i vicoli come gomitoli. Il paese dei condomini e i negozi. Dove vivere? Di qua o di là? Vedo i grandi che, a volte, si fermano sul ponte a parlare, uno ‘stare in mezzo’. Non è comodo, non c’è posto, poggiano i gomiti sull’inferriata e chiacchierano per qualche minuto. Sulla panchine ragazzi neri, gli anziani, lingue che non capisco, ragazzi dalla voce incupita.
Il teatro e i suoi 146 posti. Le poltroncine di velluto rosso. Quante Massafra ho davanti? Vivono e stanno assieme.
La tempesta gira attorno ai corti. E’ che l’estate svela passioni, creatività, forza, doni. Tutto appare affollato. E allora la tempesta gira, dopo mesi di aridità, attorno al paese. Fa corona, spettacolo. Non ce l’ha con loro, ma si intromette senza essere invitata. Aspetta la prima mossa dei ragazzi. Le saette uniscono cielo e terra. Mostrami tutta la tua potenza. I ragazzi dei service se ne vanno, lasciano chitarre acustiche. La tempesta ha vinto senza nemmeno esplodere. Ma regala la cena, le parole, un andare lento, un buon vino (questa volta annoto il nome), i gin tonic, i ragazzi che la notte è storia loro, io avverto già la stanchezza delle gambe. Sgranocchio un grano di falso pepe. Ha lo stesso sapore del pepe degli alberi di Lalibela. C’è perfino Corto Maltese in un cesto. Ci sono i fotografi. Da anni fanno street. Siedono sotto l’albero. C’è una luce bella e strana. Si dilata, allarga il saliscendi dell’osteria.


Ingaggiate la ragazza che recita la perfezione del cibo. Bisogna aggiungere solo una spruzzata di im-perfezione, qualche errore, l’intrusione di un ingrediente che non dovrebbe starci. Una cameriera recitante.
Ecco, la tempesta muove le sue avanguardie. Diventa pioggia. Sa di aver vinto, almeno questa sera. Lucida le pietre, rende umido il bianco.
Teatri abitati, fabbriche di Nichi, Bollenti spiriti. Hanno il dono dei nomi in Puglia.
Poi, ben prima dei tempi dei ragazzi, cammini verso la casa accogliente, il lamione con il pavimento in legno e lavagna, pavimento per scriverci durante le riunioni. I vicoli del paese illuminati dalla luce gialla. I led non sono ancora arrivati. Nessuno per le strade. I ragazzi sono rimasti davanti ai gin tonic, qui si è già andati a letto. Dove posso stare? Unire i due paesi. Teatro a partire dai luoghi.

Al mattino, è ancora spopolato, ma è tornato il camioncino del contadino. I nomi che grida sono rimasti nel taccuino. Che peccato! L’insalata, i pomodori, ma ci sono tonalità che ho smarrito. Tira il freno davanti a casa, perché non esco a fare spese.
Al mattino, un grande entra nel negozio dei giornali. E, incurante di chi ci sia, grida: ‘Cosimo Damiano…viva l’Italia e chi la creò’. E compra il giornale. Tutti i giorni? Tutti i giorni.

Al bar sotto l’orologio, ti raccontano della geografia: qua la birra costa un euro, là due e euro e mezzo. Focaccia con le cipolle.
A sera erano state: orecchiette al pomodoro, ricciola con le pere, capocollo, mattonella di cioccolato. Vino Calafuria.