Nusazit

C’è folla in una sala al piano terra di una casa fuori paese.
Questa volta non faccio il mio mestiere. Non chiedo, non domando, lascio che le storie accadano e non ne indago le ragioni. Sto cambiando. Non riuscirò…non serve pensarci, la Festa, almeno per oggi, decide per te…

Mi ero ripromesso che non avrei inseguito Madonne sulle montagne della Lucania. E, invece, salgo a San Costantino Albanese per la Festa della Madonna della Stella. Previsioni del tempo, pessime. Ma, raccontano, che questa Madonna è capace di miracoli improvvisi, a memoria d’uomo non è mai piovuto quando lei decide di uscire dalla chiesa.
Madonna della Stella, Shër Meria Illthit. Perdonatemi, per ogni errore che commetterò nello scrivere (mi obbligo a scrivere, per non smarrire). La Madonna di San Costatino scende dalla montagna agli inizi della primavera per non perdersi la Festa in suo onore. Fra Lucania, Campania e Calabria, le Madonne viaggiano di continuo fra le montagne e i paesi. Lei, qui, scende dal santuario proprio per godersi i fuochi d’artificio degli uomini, vuole applaudire, è grata ai paesani. Poi se ne torna ai confini del bosco.

Il salone è affollato: c’è un gigantesco diavolo nero a due facce e quattro corna. Ha gli occhi rossi, fa le boccacce, è un esibizionista. Il suo corpo è come coperto di piume nere. Non spaventa nessuno. Alle sue spalle, ci sono due fabbri instancabili: battono incessantemente su un incudine. C’è una ragazza, la nusja, dalle vesti albanesi. C’è un pastore che non vuole perderla di vista e, come dono, ha una ricotta. Il palcoscenico è completo. Sono pupazzi di cartapesta, in carta crespa, intelaiature di ferro e legno, ruote incandescenti che si metteranno in movimento allo scoppio di petardi.
Pupazzi di cartapesta, nusazit…dovrei imparare una nuova lingua su questa montagna. Figli del popolo albanese, eredi di Skanderberg, principe e condottiero, eroe della resistenza contro gli ottomani. Nel salone c’è anche un cavallo scalpitante, il guerriero albanese vi sale in groppa e impugna uno scudo con l’aquila bicipite. Non c’è più posto. Bisogna uscire. Il cavallo accenna un galoppo, poi decide di accettare un passaggio da un camioncino: risparmia le sue forze, l’animale sa che lo aspetta una lunga notte.

In paese, Skanderberg entra al piccolo trotto. Lo precedono la ciaramella e la zampogna. Nicola mi aveva avvertito: ‘Qui niente organetti, niente tamburelli’. Seguo Antonio e Giuseppe, musicisti di questo strano corteo. C’è la banda venuta da Rapolla.


Bancarelle lungo la strada. Ambulanti senegalesi chiacchierano con mercanti di chincaglierie. Chi dice che l’Italia non è già creolizzata? Il cavallo è felice e si fa il giro della piazza.

Nicola, il cavaliere-Skanderberg, invita nella sua cantina. Una piccola folla lo segue. I suoni sono guida per i distratti. Si staccano provoloni dal soffitto, si soppesa il prosciutto, ci sono i cento bocconi, novellame piccante. C’è il vino. Lorenzo si premura che il mio bicchiere sia sempre pieno. Mi piace barcollare un po’.

E’ ora del giro del cavallo, trotto del kali. La gente fa spazio. Sa cosa sta per accadere. Gli zoccoli del cavallo sono di fuoco, fiammeggiano, scintille di brace raggiungono gli uomini e donne che fanno cerchio. Skanderberg si diverte come un bambino, saltella ai quattro lati della piazza, riesce ad alzarsi sulle gambe anteriori, accenna un galoppo, la piazza sbanda. A un certo punto, la coda prende fuoco. Acqua sulla fiammata. Il cavaliere è soddisfatto. Una bella notte. Ora si può fare mattina…
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E al mattino il cielo è sceso sulle montagne. Nebbia e pioggia. Il prete, rito bizantino, è arrabbiato con i fotografi. Le nuvole si ammucchiano una sull’altra. Ci sono due ragazze, italiane di Berlino, che mi raccontano di un progetto sul linguaggio, cerco di capire, ma non ci riesco. Cerco le loro biografie nel mondo virtuale e mi smarrisco con pizzicotti di invidia. Girano con attrezzature pesanti e complicate. Osservo ammirato. Giulia, con la sua telecamera, è sola, nella piazza deserta, a prendersi l’acqua per afferrare i rumori di una festa che ancora non c’è. Piove.

In cento cercano siti meteo per avere speranze. Dovrebbero avere più fiducia nella Madonna. Un ragazzo, elegante come a un matrimonio, mi dà coraggio: ‘Non ti preoccupare, la nostra Madonna è miracolosa’. Comincio a crederci. Il pirotecnico, l’artificiere, guarda il cielo e pensa alle sue polveri. E’ da oltre un secolo che l’uscita della Madonna, nella seconda domenica di maggio, è festeggiata con spari, petardi, fuochi e girandole. Poi apparvero i personaggi, quei pupazzi, i nusazit che, ieri sera, ho lasciato nella casa delle campagne. Adesso anche loro guardano alle nuvole. Sono più tranquilli di noi umani. Escono con passo sicuro e si fanno scherzi l’un con l’altro.
In piazza arriva una coppia: sorreggono una centa votiva, una costruzione di candele e fiori, dono di bellezza alla Madonna. Il prete dice messa in equilibrio sulla linea della iconostasi. Trova anche il tempo per scendere in mezzo alla navata e prendersela, ancora una volta, con chi fotografa con il cellulare. Battaglia persa, vorrei dirgli. La piazza, fuori, sfida una pioggia insistente.

Strana festa. Piccola, bella, fragorosa. Raccontano che, nei primi decenni del Novecento, Giuseppe Chiaffitella, conosciuto come Pllinja, ebbe l’idea di far volare la testa a un diavolo al momento dell’uscita della Madonna dalla Chiesa. Giuseppe giurava di aver visto una festa così pirotecnica in Messico, ma gli antropologi scuotono la testa: chissà se Pllinja è davvero stato oltreoceano? Se davvero ha avuto un’altra vita nelle Americhe? Ma sì, non può che aver visto laggiù questi spettacoli di fuoco e fumo. Questi pupazzi che esplodono hanno il senso del latinoamerica. Mi piace questo meticciato: un paese delle montagne lucane, un paese albanese che festeggia una Madonna bizantina con ritualità messicane. Dove altro trovo una creolizzazione, un confondersi di culture, così profonda e sorprendente? Storie e tradizioni si incontrano e si mischiano l’una con le altre. Le migrazioni si portano dietro culture e ne creano altre. Memorie che diventano contemporaneità.



Voglio godermi la festa, salgo sul palco, i pirotecnici hanno preso fiducia e stanno montando i pupazzi, la Madonna si fa annunciare da un sole improvviso che sbreccia le nuvole e illumina la piazza. La Madonna, con la sua corona di stelle, protetta da un baldacchino, esce dalla chiesa e si mette in prima fila. La piazza si riempie, gli artificieri sono all’opera, piccoli brividi fra la folla. Dove posso mettermi? Il pirotecnico è clemente e mi rassicura: ‘Ti guardo io’. E mette mano all’accendino…




I fabbri, i furxharet, spinti dalla forza dei petardi, cominciano a battere sempre più veloci sull’incudine. Ogni scoppio accende la castagnola successiva, i botti risalgono i corpi dei pupazzi, alla fine, in una nuvola di fumo, esplodono le loro teste. Stessa sorte tocca al pastore, il kapjel, che guarda disperato per l’ultima volta la ragazza. Lei, la nusja, danza nella piazza, la sua gonna diventa giravolta, viene avvolta da una ruota di fumo e fuoco. Infine, il più atteso, il diavolo, djallthi: agita la catena di un paiolo, fa le linguacce, sembra allargare le braccia e minacciare con il forcone. Niente da fare, il pirotecnico accende il suo fuoco e anche il demonio nero è costretto a ruotare su stesso, il fumo lo nasconde, lui riappare, c’è un momento di silenzio, come se la piazza trattenesse il fiato…solo una volta è accaduto che la testa del diavolo non andasse in mille pezzi. Era il 1992 e quell’anno la pala dell’altare del santuario della Madonna, sulla collina che sovrasta il paese, venne rubata…no, il botto finale è potente, volano i corni del pupazzo nero, faccio in tempo scansarmi, nella foto rimane il loro volo verso il mio obiettivo…anche il diavolo ha perso la testa…il pericolo del malocchio è stato scacciato, l’estate sarà bella e generosa, il cielo è con il paese, la Madonna ha un sorriso, ora può tornare in montagna, è il tempo della processione, gli uomini e le donne possono mostrare i loro abiti albanesi, Nicola, Quirino e Antonio possono suonare, si può danzare in cerchio, il sole regala ancora un’ora di tranquillità, poi lascia che le nuvole si richiudano. Ancora un bicchiere di vino, polpette e formaggio nel cammino di ritorno verso il paese…




Amedeo e Angela mi regalano un dvd. Il lungo lavoro di ricerca Nicola. Ci sono immagini del 1965. In Super 8. Penso a Giuseppe Laj Pepini Shirokut, ‘lo zio d’America’: filmava la Festa e faceva arrivare le immagini ai mille paesani di oltreoceano, alla gente di San Costantino nelle Americhe. Giuseppe, ogni anno, tesseva il filo di una memoria.
Superba descrizione della festa della Madonna della Stella(Capelia) Grazie, grazie di cuore!
Grazie, Rosa…non è tanto un racconto, non ho fatto il mio mestiere, ho lasciato andare le emozioni…la Festa la fate voi…grazie ancora